Stato di benessere incondizionato
C'è una storia che ho letto.
Questa è una storia che mi hanno regalato.
È la storia di un viaggio, appunti di viaggio per la precisione. Un diario che racconta di gente, di paesi, di vite, di treni che fanno un solo viaggio e di aerei che non volano più.
Lui è uno scrittore. E viene dal Cile.
E questo viaggio se l'è fatto come se ci fosse stato qualcosa che stava cercando. E c'ha scritto un libro.
E ad un certo punto racconta di un villaggio. Sulle Ande. Di poche case e di un vento che non smette mai di soffiare.
A Ujina, così si chiama il villaggio, ci sono dei binari, e su questi binari, ci passa un treno. Questo treno insomma, parte da Antofagasta e si fa i suoi belli seicento chilometri per arrivare ad un altro paese che si chiama Oruro.
Ed in questa storia, c'è anche un deserto.
Lungo tutta la strada non si vede un albero, nè un arbusto, nè un cespuglio, nè un filo d'erba, nè un animale, nè un insetto, nè un solo uccello. Solitudine, e ancora solitudine. Deserto, saline, fabbriche di salnitro abbandonate, scheletri di costruzioni degli inizi del secolo, veicoli mummificati, sembrano indicare che questa regione non è altro che un castigo, ma sotto il suolo arido, vive, incredibilmente, una delle più belle forme di vita.
Ecco, ora già che qualcuno mi disegna con le parole un dipinto del genere, io divento matto. Me lo sbatte davanti sto paesaggio, me lo rende triste e mi ci fa stare così solo che già sento il vento sulla faccia e la sabbia in bocca. Senza parlare delle gocce di sudore che mi scendono sulle tempie.
Me lo sbatte così davanti e ci nascone dentro qualcosa. Che io non vedo, non ci riesco, provo con l'immaginzione ma proprio non ci riesco, non vedo un bel niente. Ma lui, mi dice che lì c'è qualcosa che non è solo bella, ma è addirittura una delle più belle.
È la radice di un lichene antico quanto il deserto, che, sepolto una decina di centimetri sotto il terreno calcinato dai raggi solari, aspetta pazientemente il giorno dell'unica pioggia, sempre alla fine del mese di marzo, che scende per qualche minuto su quella terra maledetta.
Quell'acquazzone minimo cade, bagna la terra che assetata assorbe l'acqua, e quasi subito le nubi svaniscono. Ma questo basta perchè in poche ore tutto il deserto si trasformi in un giardino infinito di fiori intensamente rossi. Le rose di Atacama riescono a vivere solo un paio d'ore, poi il sole le brucia ed il vento spazza via i petali arsi.
Ecco.
Da diventare pazzi. Da uscire fuori di testa.
In un posto come quello c'è la malinconia di una terra sola, poi c'è un nascondiglio, poi c'è la pazienza di aspettare.
Un giorno, un giorno solo, puntuale, arriva. Arriva il miracolo sotto forma di pioggia e trasforma tutto in un fiore. E questo splendore, come tutto ciò che è troppo bello per continuare, dura solo due ore. Non due giorni o due mesi. Due ore.
Da diventare pazzi.
E se sei fortunato, se per caso, passi lì in quel preciso giorno, in quel preciso momento, nè un minuto prima nè un minuto dopo, lo vedi.
Da uscire fuori di testa.
A volte penso che la natura sia una metafora della vita. Se la guardi attentamente hai tante risposte.
Questo mi da modo di guardarmi intorno, annusare l'aria, guardare negli occhi delle persone che mi sono vicine, e pensare.
Poi mi da anche la speranza che da qualche parte, in qualche modo, in questa vita si può essere felici.
Sapere che la natura regala poesie come queste mi crea uno stato di benessere che mi fa addormentare sereno.
24 Febbraio 2008
Io ed i miei amici supereroi
Il punto debole di superman è la criptonite.
È un dato di fatto. Non può farci niente. Sarà il migliore a fare qualsiasi altra cosa, ma la criptonite, quella, proprio non la digerisce.
Questo, tanto per dire che anche gli eroi dei fumetti, i personaggi che sembrano invincibili, alla fine, proprio così invincibili, non sono.
Ora, se ricordo bene, la criptonite è una specie di minerale che viene da un altro pianeta, cioè voglio dire che quella cosa che superman proprio non sopporta, nella realtà, non esiste. Diciamo che i suoi nemici, non è che la possono comprare dal ferramenta. Buongiorno, che mi da due etti di criptonite per favore? Due etti? Sono per superman vero? Che faccio gliela incarto?
No. Così non si può fare. Troppo facile.
Quindi, io posso ritenermi normale se il mio punto debole è colpito da qualcosa che fa parte di questo pianeta.
Io non sono mica un supereroe. Ecco, diciamolo. Non lo sono.
Io posso crollare sotto colpi molto più umani, direi.
Quindi, stabilito questo, potrei anche finire qui.
Umano. Punto debole. Zac, colpito. Stop.
Il fatto è che in certi momenti della vita, ti senti un pò come superman, un pò il salvatore del mondo, tv, giornali, applausi. Tutto per te.
Invincibile. Ci puoi provare a farmi male, ma mica ce la fai. Te l'ho detto, invincibile!
E cammini un pò sopra le nuvole, testa alta, petto in fuori, sguardi su di te, insomma, invincibile.
Poi, ad un certo punto, quando ti sembra che niente ti può scalfire, zac! Criptonite!
E mò questa da dove esce fuori?
Ma porcadiunaeva! Scusate, qualcuno mi sa dire chi cazzo ha portato qui questa criptonite??
Perchè questa è roba che intanto ti fa scendere al di sotto delle nuvole, poi, ti fa camminare un pò più normale. Niente applausi, niente foto, niente giornali. Niente.
La cosa che mi fa pensare è che succede sempre così. Io il mio punto debole lo conosco ma ancora non ho imparato a difenderlo.
Anche perchè ho cominciato a capire che quando ti trovi di fronte alla tua criptonite, puoi essere superman, l'uomo ragno e tutti i fantastici quattro messi insieme, ma quando ti ci trovi davanti, prima o poi, giù al tappeto ci vai.
L'altra cosa che mi fa pensare è che io il sorriso ce l'ho stampato lì, sulla faccia. Mica me lo leva nessuno.
Vabbè non sono invincibile, ma io il sorriso ce l'ho. Ed è un sorriso felice.
E poi dentro, ci sto proprio bene.
Cioè, dentro a questa situazione mi ci faccio il bagno fino a scogliermi. Ed una volta sciolto. Zac. Sorriso. Non me lo leva mica nessuno.
E poi vorrei chiarire questo concetto. Superman con la sua criptonite ci muore, o comunque, diciamo che non ci sta troppo bene, io, con la mia ci sto così bene che mi sveglio la mattina e continuo a sognarla. È proprio bella, ma così bella che somiglia ad una principessa. La mia criptonite.
Insomma, volevo dire che l'ho capito. Alla fine l'ho capito che non sono invincibile. Nessuno lo è.
Certe cose, non le controlli. Neanche se sei superman.
Magari sarò bravo a fare tante altre cose, ma queste, io, non le controllo.
È un dato di fatto.
20 Febbraio 2008
Déjà vu
Ecco. L'ho fatto. Adesso c'è anche tra le mie pagine. L'ho scritto.
In ogni blog, in ogni pagina web, in ogni forum che si rispetti, in tutti i post ( o posts?) che mi è capitato di leggere, c'era. Almeno una volta bisogna scrivere sta parola. Déjà vu.
Ed io l'ho fatto.
Un peso in meno sulle mie spalle.
È un pò come durante una riunione di lavoro di qualsiasi azienda, qualcuno, immancabilmente deve tirar fuori a tutti i costi un'altra parola. A tutti i costi, c'è sempre qualcuno che la butta là, con finta indifferenza. Sinergia.
Non c'è niente da fare, non c'è riunione di lavoro che si rispetti se qualcuno all'improvviso non te la spiattella là. Bum. Sinergia.
Che poi, io, onestamente non mi sono mai fidato di uno che usa questa parola, che ne so, mi da l'idea che tira fuori l'"asso nella manica" quando in mano c'ha un bluff bello e buono, e allora vuol dire che sta barando. Sinergia. Tiè. La butta là.
E tutti, immancabilmente annuiscono come fosse la parola che tutti cercavano ma che nessuno trovava e olè, grazie a dio, il sommo, l'onnipotente, l'ha trovata. Bum. Tutti secchi.
Vabbè chiaro il concetto, no?
Torniamo alla parola iniziale. Déjà vu, dicevo.
Adesso sta anche qui, tra le pagine del mio sito.
Eccola, senti che suono. Descgiavù. Un dentale, un sonoro ed un labbiale.
Francesismo impeccabile, un suono che ripeteresti in qualsiasi momento anche in un contesto che non c'entra niente. Che ore sono? Deja vù. Tiè. A che ora ci vediamo stasera? Blam! Déjà vu.
Vabbè, io tra le mie pagine, ce l'ho messa.
Anche perchè nelle ultime ventiquattro ore ha cominciato a rimbalzarmi nella testa come una pallamatta.
Prendo la macchina, schizzo da una parte all'altra della città, luci accese, incroci tutti col giallo, sorpassi da dito medio, lo stereo fa il suo dovere le lancette dell'orologio corrono come se non avessero tempo da perdere guardo il quadrante ottomenoventi ma guarda te! Dove sono finito!
Déjà vu.
Come un film in bianco e nero che mi ero dimenticato di aver già visto.
La pellicola che scorre fuori dal finestrino. Sembra un film di tanto tempo fa che non mi ricordo se il protagonista ero io o ero soltanto lo spettatore. Chiudo gli occhi, giro la testa. Accellero. Forward.
Titoli di coda.
I deja vù durano quel tanto che servono per entrarti dentro e piantarsi là. Mica mollano!
E poi: doccia, letto, cuscino, anzi due, un sorriso un odore, calore. Blam!
Déjà vu. Un altro.
E rimango quasi immobile come dal dentista quando si avvicina col trapano, stringi i braccioli della poltrona nocche bianche ecco, adesso mi fa male.
Sopresa. Niente dolore. Stavolta niente dolore.
HAI CAPITO?? Niente dolore! Niente! Tutto a posto! Si, vabbè, déjà vu, ma il dolore, niente. Ni-e-nte!!
Ed il mattino dopo, niente cornetti per colazione, niente dolore, niente deja vù.
Tutto normale. Ecco, non è che chiedevo chissà chè, questo chiedevo. Tutto normale.
Certo, tutto liscio non può filare, si sa, la vita è questa, però per il momento va bene così.
Adesso, più normale di così, c'ho anche scritto sta parola sul mio sito.
Tiè. Normale.
Déjà vu.
14 Febbraio 2008
Quasi cinque
Certo è, che se proprio devo dirla tutta, se proprio devo dargli un valore su una scala che va da zero a dieci, gli darei un valore pari a quattro.
Ci ho pensato un bel pò. Quattro.
Alla mia esistenza intendo. Dal primo gennaio duemilaotto ad oggi.
Certo, dovremmo considerare quali sono i parametri di valutazione, e si può immaginare che questi, se si parla di un'esistenza, non sono nè pochi nè trascurabili, direi.
Che poi, quattro non è che sia un valore del tutto negativo (algebricamente, non lo è).
Se lo paragoniamo alle valutazioni scolastiche, è vero, non raggiunge neanche la sufficenza, ma paragonato ad un valore che rappresenta un'esistenza, assume tutt'altro aspetto, direi.
Non è zero. Zero, parliamoci chiaro, è proprio nullo. Non classificato. Zero, insomma.
Non è neanche uno. Uno, è poco sopra lo zero, quasi l'opposto di dieci, dai, siamo onesti, non va bene.
Non è due. Due è un numero da sfigato. Cioè, sei due! Terribile. Due di picche o qualcosa del genere, non andrebbe bene proprio per niente, direi.
E quindi, non è neanche tre. Tre da l'idea che si uno sfigato che è stato più fortunato di un due e non ci fai una gran bella figura. Anzi, ci fai una figura di merda e basta.
È quattro. Quattro, secondo me rende bene l'idea che sei uno che ci sta provando, sei uscito dallo schifo e ci sta provando, sei uno che può arrivare a cinque insomma. Direi.
Quindi, quattro va bene. Ecco.
Un pò del tipo che se incontri un amico che non vedi da tanto tempo e lui ti chiede ehi, come va? tu gli rispondi quattro, grazie. E lui capisce. Lui sa.
Ed io dentro al mio quattro, così, se mi guardo allo specchio, ci sto proprio bene.
E non è che per forza devo arrivare a cinque o sei, no no, mi va bene quattro. Non do fastidio a nessuno. Nessuno da fastidio a me.
Quattro.
I calcoli algebrointellettuali che portano a tale valore dipendono, come dicevo prima da alcuni parametri esistenziali.
Ad esempio lo stato d'animo con cui si affronta la vita di tutti i giorni, misurando ad esempio la mia reazione intellettiva di fronte alla televisione. Oppure misurando il mio grado di resistenza anticonsumistica di fronte alla tentazione di abbonarmi a scai (si scrive sky).
Ancor di più, misurando la mia capacità dal reprimere i conati di vomito pensando ai personaggi (tutti) politicanti di questo paese.
E poi all'ambiente che mi circonda, alla capacità di resistere in un habitat da schiavo sottopagato.
E poi anche le persone che mi sono vicine. A quelle che non mi sono vicine. La mia famiglia ad esempio, mia madre che tento di aiutare e che al cim è riuscita a farmi fare una figura che mi sarei sotterrato. A mio padre che gioca in squadra con me, ma ha fatto autogol.
Alla mia vita privata. Che a fargli un'analisi sommaria, non alza molto il valore di questo quattro, se non per un paio di persone che, benedette loro, grazie a dio, ci sono.
Non ultimo, il mio male di vivere. Costante. Preciso. Che spinge verso il basso. Cacchio se spinge!
Insomma, per concludere, quattro.
E basta.
Io me lo tengo stretto, direi.
Stasera inizio a leggere un nuovo libro. E non sarò solo.
E per questa notte, fino a domani mattina, quasi cinque.
7 Febbraio 2008