Sono ventiquattr'ore che ci penso.
E non lo so.
Ad un certo punto si è fermato il tempo e tutti immobili, come una fotografia, come manichini di un grande magazzino.
Provo ad ingoiare la saliva, ma rimane lì, non va giù.
Quello che ho fatto, così come per istinto, è stato quello di spegnere il telefono e tirarmi su la coperta, girarmi dall'altra parte e spegnermi anche io. Come se nulla fosse e senza far troppo rumore.
Il fatto è che per certe cose io non sono pronto, è che non rientrano in nessun mio schema mentale, che nel mio immaginario ipotetico e fantastico, certe cose, no, non c'erano.
E allora è come se quella parte del mio inconscio che racchiude le mie difese per la sopravvivenza del mio stato di equilibrio, non accettasse nulla di simile.
Per il resto, sto tentando di capire, di rileggere mille volte quelle poche righe ricevute e provare a capire quando è successo che la vita ha preso il largo senza che me ne accorgessi.
Mutano, gli attimi che sembravano indissolubili, le convinzioni marchiate a fuoco sulla pelle, le persone che da sempre ami, queste, mutano.
Come se la realtà morisse e poi (ri)nascesse sotto forma che non potevi immaginare e che adesso, davanti agli occhi, impari.
Sono ventiquattr'ore che ci penso.
E non so.
Non so le parole, non so la voce, non so dove guardare e lo sguardo, non so dove poggiarlo.
Penso che non c'è più quello che sapevo ed io, invece, si.
Adesso sii felice, per favore, così tanto da perdere la testa, in modo illogico e completamente pazzo, in un modo incontrollabile da perdere la ragione, senza guardare indietro, da perdere la strada.
Sii felice così, per favore.