Centosettantaquattresimo giorno. Ora diciannovesima

Qualche giorno fa ho visto un bambino piccolo
che correva e rideva.
Più o meno in quel modo. Non faccio che pensarci.
Non riesco a togliermelo dalla testa.
Mi fa stare bene.
Chissà perché, l'ho associato al pensiero di T.
E di una persona piccolissima che conoscevo.
E al fatto che sono di nuovo ad Amsterdam.
Che prendo una macchina del tempo e torno al momento in cui camminavo in bilico sul marciapiede come un equilibrista e il bambino che correva e rideva senza fiato, ero io.
Che tanto le cose ritornano da sole, come canzoni alla radio che non sentivi più da tanto tempo o come il mare, che prima o poi riporta indietro la stessa onda.
Che nella vita si cambia, magari quando non vorresti, ma tanto si cambia, e poi una parte vecchia di te, piccolissima, quella, rimane.
Puoi far finta che non sia così, ma tanto si sa come vanno le cose.
Si sa che sapore hanno le occasioni mancate. Che te ne accorgi soltanto quando il tempo se ne è andato e tu sei rimasto indietro.
Che non c’è stato tempo, non c’è stato lo spazio per tutta quella vita non vissuta, che ti è passata distrattamente accanto mentre continuavi a credere di essere felice per quello che avevi.
Stare bene, non è essere felici. Mi dispiace, ma funziona così.
Mi sento piccolo, quasi piccolissimo, di fronte al mondo che avevo in mente con lei.
Di quelli che ti affacci alla finestra, una mattina di primavera, e non ne vedi la fine.
Ci perdi la vista a guardarlo tutto e ci perdi la testa a guardarlo dentro gli occhi, quelli piccolissimi, i suoi.
Se non fosse che l’universo, questo, è un altro, forse crederei che non esistano distanze infinite e che non esista tanto spazio da arrivare a perdersi.
Chissà dov’è, ma c’era una persona piccolissima che conoscevo.
E sono di nuovo in Olanda.
Che c’è un aereo che vola alto, ma proprio alto, addirittura sopra le nuvole.
Sono sicuro che se questo post (?) avesse avuto un titolo, sarebbe stato così piccolo che sarebbe stato illeggibile.